Afghanistan: pace slitta, incognite talebani, zeppa Trump

L’accordo di Pace

Sembrava essere stato raggiunto un accordo di pace ‘in linea di principio’ tra talebani Stati Uniti finalizzato, dopo mesi di colloqui iniziati, interrotti e ripresi, dai rappresentanti di ambe le parti, tramite il negoziatore Usa Zalmay Khalilzad. Proprio negli ultimi giorni si era stabilito un ritiro di 5.400 truppe americane entro 20 settimane dalle zone dell’Afghanistan attualmente contese tra talebani e militari americani. L’attuazione dell’accordo prevedeva tuttavia la firma del presidente Donald Trump che s’è rifiutato di apporla dopo che i talebani hanno rivendicato l’attentato di giovedì 5 settembre nel quale sono state uccise 12 persone tra cui un soldato americano, il sergente di prima classe Elis A. Barreto Ortiz.

Ma quali sarebbero le implicazioni di questi accordi, in continua evoluzione, per gli Usa e l’Afghanistan? Le intese di pace sono scandite in due fasi. La prima riguarda direttamente i talebani e gli Usa (senza il coinvolgimento del governo afghano) ed è volta a chiudere le operazioni militari contro i talebani e ad instaurare un cessate-il-fuoco. L’esclusione del governo afghano da questi colloqui suscita tuttora scetticismo e critiche. La seconda, che dovrebbe iniziare nei prossimi giorni, vedrebbe idealmente talebani e governo riunirsi per delineare un nuovo sistema politico e un nuovo ordine costituzionale afghano.

Poche Garanzie, troppe incognite
Nel primo caso, il nocciolo delle trattative si incentra sulla rimozione dell’ampio contingente militare statunitense (e di conseguenza anche quello straniero, Italia compresa) presente sul territorio afghano, in cambio di garanzie che il Paese non ospiterà più basi di fondamentalisti islamici ne darà rifugio a terroristi di qualsiasi altra natura (si ricordi il caso di al Qaida e di Osama bin Laden). Questa ipotesi rimane un’incognita, visto tra l’altro l’attentato rivendicato dal sedicente Stato islamico, l’Isis, che, durante un matrimonio a Kabul, ha ucciso 63 persone.

Sebbene i talebani non siano stati coinvolti, l’evento dimostra come tuttavia non ci sia un piano dei talebani per contrastare e condannare altri gruppi islamici come al Qaida o la Repubblica Islamica di Korasan (il gruppo afghano affiliato all’Isis). Senza una presenza di forze sul terreno, la promessa di non dare più accoglienza agli integralisti rimarrebbe senza sostanza.

Inoltre, rimuovendo le loro basi militari gli Stati Uniti perderebbero la loro penetrazione geo-strategica nella regione, che sinora li ha aiutati a mantenere una elevata presenza in una regione ad alta competizione di investimenti economici e geopolitici per il passaggio di pipeline e gasdotti. Per il generale Mark A. Milley, ritirare troppo presto le truppe statunitensi dall’Afghanistan sarebbe un “errore strategico”: lo ha detto l’11 luglio, evidenziando la posizione del Pentagono che rimane divergente da quella della Cia – più sotto il controllo del presidente -.

Concertazione e disgelo interno
Sul fronte interno, da quanto emerge dalle discussioni diplomatiche svoltesi a Doha con la mediazione americana, è previsto che s’instauri un sistema di power-sharing tra rappresentati dell’attuale governo ed esponenti dei talebani. Questo richiederà delle riforme sostanziali attraverso una concertazione tra tutte le componenti del popolo afghano. Il rischio è che tali dinamiche vengano condizionate dai rapporti di forza ed il governo attuale, che verrà indebolito dall’assenza dell’ombrello protettivo statunitense, dovrebbe confrontarsi con dei talebani rafforzati sul terreno e politicamente legittimati.

L’apparato di sicurezza afghano rimane sotto organico e vulnerabile agli attacchi dei talebani, i quali invece attraverso il mercato dell’oppio hanno ricavi economici considerevoli e contano su migliaia di reclute devote alla loro causa (pronte anche a farsi esplodere). Altrettanto importante è la questione delle donne e come verranno considerati i loro diritti all’interno di una Repubblica Islamica guidata insieme a dei talebani che vogliono imporre su questo punto le loro condizioni ideologiche e religiose. Ma per i talebani tutti questi fatti verranno trattati con i rappresentanti del governo e delle forze filo-governative dopo la ratifica degli accordi con gli americani.

La prospettiva delle elezioni, afghane e Usa
Una chiave di lettura importante per capire ciò che sta accadendo è guardare al clima elettorale sia in Afghanistan che negli Stati Uniti. Trump vuole mantenere le promesse fatte ai suoi elettori repubblicani (tra cui molti veterani). Chiudendo la partita in Afghanistan in vista delle presidenziali 2020, rafforzerebbe la sua posizione di leader capace produrre risultati. Trump deve compattare e ricucire la sua base elettorale, evitando di offrire spazio a critiche da parte dei suo avversari politici democratici e anche repubblicani.

In Afghanistan invece le prossime elezioni si dovrebbero svolgere a breve, il 28 settembre. Questo paletto restringe ulteriormente il tempo disponibile per raggiungere un accordo di grandi dimensioni. Il problema è che un cambio dell’esecutivo (probabile, data l’impopolarità dell’attuale presidente Ghani) a ridosso delle trattative con i talebani non sarebbe da loro gradito – infatti hanno ripetutamente minacciato stragi qualora si andasse al voto -.

Trattare con degli estremisti richiede tempo e servono vere assicurazioni (che forse non si avranno mai). Dando ai talebani il consenso politico per avviare le trattative senza accompagnare il (vero) processo di pace interno con il consolidamento delle forse moderate e democratiche sarebbe una mossa frettolosa e pericolosa. Ma per gli afghani come per Trump il futuro dell’Afghanistan va lasciata in mano agli afghani senza interferenze. L’Afghanistan rimane un Paese altamente diviso tra molteplici etnie (pashtun, tagiki, hazari, etc.) e tra tribù guerriere. Si parla del ritorno del figlio di Ahmad Massud, figura che fu capace di unificare l’Afghanistan tenendo a bada i talebani, ma ciò riaprirebbe vecchie ferite e anche prospettive di guerra civile. Il Paese ha bisogno di pace, e il ritiro americano potrebbe essere la chiave di svolta in tal senso, ma la pace per essere duratura richiede calma, non fretta. Nel frattempo, il sangue degli afghani continuerà a colare per le strade di Kabul.

Giorgio Trichilo

International Security Studies graduate from Scuola Superiore Sant’Anna and University of Trento who is passionate about writing opinion pieces on international political affairs

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