Yemen: Huthi, Riad vuole aprire al dialogo con Teheran

Gli attacchi sferrati per mezzo di droni il 14 settembre contro le raffinerie petrolifere del colosso Saudi Aramco rivendicati dagli incorti armati Huthi, vicini all’Iran, alimentano ulteriormente le tensioni nella penisola arabica. Ma nonostante il rilievo e la gravità degli avvenimenti nessuno, a distanza di oltre un mese, dopo le fiammate iniziali, sembra intenzionato a creare un’escalation con Teheran.

Schermata 2021-02-26 alle 11.21.09.png

Mappa che indica il luogo degli attacchi

Fonte: Voice of America

L’ammorbidimento di Riad e di Mbs
Anzi, gli attacchi sembrano aver portato ad un riposizionamento dell’Arabia Saudita, ora favorevole a un maggior dialogo con i ribelli Huthi, contro i quali la coalizione guidata da Riad è militarmente impegnata da quattro anni, a sostegno del governo riconosciuto di Aden.

Sono in corso accertamenti investigativi internazionali sui danni riportati dalle raffinerie di Khurais e Abqaiq. Dalle prime verifiche non sembra emergere un quadro chiaro sulle origini dell’attacco. Il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha prontamente condannato l’Iran, individuando il Paese come responsabile dell’attacco e parlando di un atto di guerra”. L’Iran tuttavia nega qualsiasi tipo di coinvolgimento e giustifica l’azione huthi come atto di auto-difesa contro l’Arabia Saudita.

Sebbene anche l’Arabia Saudita abbia accertato la fabbricazione iraniana dei dieci droni che hanno colpito le cisterne petrolifere, il Paese guidato da Mohammed Bin Salman (Mbs) non si è spinto oltre nel puntare il dito contro l’Iran. È possibile che questa cautela indichi una volontà di Riad di aprirsi al dialogo con Teheran anziché creare un’escalation. Riad avrebbe infatti chiesto a Iraq e Pakistan di incrementare gli sforzi di mediazione con l’Iran.

Segni di una ricerca di distensione da parte di Mbs sarebbero in un’intervista rilasciata alla Cbs, nella quale esprime apertura “a qualsiasi iniziativa per una soluzione politica in Yemen”. Ciò fa pensare che Riad abbia valutato favorevolmente la proposta huthi del 20 settembre di cessare gli attacchi missilistici sul territorio saudita in cambio di negoziati.

Drone diplomacy: un conflitto che chiede tregua
Ma cos’altro si celerebbe dietro al fitto fumo di Khurais e Abqaiq? Innanzitutto, questi attacchi andrebbero compresi in un quadro più ampio della strategia huthi, di volerr guadagnare un potere di trattativa e un accredito internazionale attraverso l’uso della forza.

I ribelli controllano la capitale Sana’a e una fetta sempre più ampia del territorio yemenita. La volontà di attaccare specificamente le raffinerie della petro-monarchia saudita tiene a dimostrare la loro capacità di infliggere danni notevoli – causando un’impennata del prezzo del brendt, preoccupante seppure breve – contro postazioni strategiche nel cuore economico del Paese, con i mezzi tecnologici a loro pronta disposizione.

Come per ogni movimento ribelle, gli Huthi hanno l’obbiettivo del controllo effettivo del territorio, per stabilire un centro di potere parallelo che possa competere a livello materiale ed organizzativo ed eclissare il governo riconosciuto. Infatti, a breve distanza dall’attacco del 14, gli Huthi hanno dichiarato di avere catturato 2.000 soldati sauditi in un’offensiva mirata contro un convoglio nel Nord del Paese. È plausibile che gli Huthi stiano mostrando le loro capacità militari per avere una leva maggiore nella prospettiva di un eventuale avvio di trattative con l’Arabia Saudita per risolvere un conflitto che sembra essere arrivato a uno stallo (letale) per ambe le parti.

La volontà degli Huthi di mostrarsi aperti al dialogo è stata evidenziata dal rilascio di 300 persone, tra cui soldati sauditi, alle Nazioni Unite il 1° ottobre. Anche il ritiro huthi dal porto strategico di Hodeida (preso a caro prezzo), negoziato con l’Onu attenendosi alle linee tracciate nei colloqui di Stoccolma, è un passo per proporsi come interlocutore affidabile.

Nei dialoghi sotterranei tra sauditi e Huthi ci sarebbe l’ipotesi di rimuovere il blocco navale contro gli Huthi, come lasciano intendere fonti diplomatiche vicino a Riad.

Mire geopolitiche di Usa e Iran
Oltre a queste considerazioni, andrebbe visto anche il lato geopolitico della medaglia. Molti analisti concordano sull’idea che la guerra in Yemen sia un conflitto primariamente per procura tra Iran e Stati Uniti.

La vicinanza iraniana alle milizie di fede sciita fa di loro un problema di primo rilievo per la sicurezza nazionale saudita, temendo un accerchiamento sciita con Hezbollah al nord, Iran ad est e lo Yemen al sud. Questa preoccupazione deriva dalla volontà di Riad di essere l’attore regionale primario per diffondere la propria visione dell’Islam politico sunnita contrapposta a quella sciita sostenuta dall’Iran.

Anche gli Stati Uniti vedono gli attacchi dei droni come sfida lanciata verso di loro. Oltre a percepire gli Huthi come una minaccia contro un loro alleato ferreo, considerano l’influenza iraniana a favore dei ribelli come un’estensione della loro proiezione militare di natura destabilizzatrice ed aggressiva nella regione. Questo è diventato un mantra da quando il presidente Donald Trump ha fatto ritirare gli Stati Uniti dal Joint comprehensive plan of action – JCPOA – e applicato contro l’Iran pesanti sanzioni per attanagliare il Paese in una strategia di massima pressione.

In ultima analisi, ciò che si può estrapolare dagli attacchi del 14 settembre è che hanno costituito una escalation di violenza tra Huthi e Arabia Saudita. Tuttavia, rimane di assoluto rilevo sottolineare come l’assenza di significative misure di rappresaglia, sia da parte americana che saudita, contro l’Iran dopo gli attacchi possa preludere a una svolta che indirizzerebbe il conflitto sulla via delle trattative, quantomeno per stabilire un cessate il fuoco e prestare attenzione alla tragica piaga umanitaria di questa guerra civile.

Emerge anche l’apparente vulnerabilità difensiva dell’Arabia Saudita, incapace di impedire attacchi nel cuore geografico del proprio territorio, oltre che del suo progressivo isolamento politico, come evidenziato dalle azioni divergenti adottate da Abu Dhabi negli scorsi mesi

Giorgio Trichilo

International Security Studies graduate from Scuola Superiore Sant’Anna and University of Trento who is passionate about writing opinion pieces on international political affairs

http://www.securityfields.net
Previous
Previous

How did we get here? A short history of Syrian Kurds in Rojava

Next
Next

Afghanistan: pace slitta, incognite talebani, zeppa Trump